La scorsa settimana ho seguito, tramite internet, l'evoluzione del putiferio sorto successivamente ad una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla questione del crocifisso nelle aule scolastiche.

Sorvolo su quei cittadini che, dall'alto della propria cultura politica e civica, tuonavano nei forum contro questi trombati della politica che vanno a scaldare le poltrone (non comprendendo forse la differenza tra un organo elettivo, come il Parlamento Europeo, ed una Corte).
Sui media, una pletora di credenti dell'ultima ora si e'lanciata in dissertazioni su come questo simbolo sia punto unificante della nostra identita' nazionale, su quanto noi come italiani dobbiamo al cristianesimo (leggesi tra le righe Chiesa Cattolica) nella costituzione della nostra cultura e del nostro modo di essere. A parte l'ovvia e voluta confusione tra il simbolo di una religione e un'istituzione religiosa come la Chiesa Cattolica, che non ha il copyright del Cristianesimo, mi sono chiesto se davvero io come italiano, possa dovere qualcosa a questa religione come elemento fondante della mia identita'. Considerato l'atteggiamento ostile tenuto dallo Stato Pontificio verso i tentativi di unita' dell'Italia nel corso del XIX secolo, non e' forse il contrario? Se fosse dipeso da quello Stato, esisteremmo noi come cittadini di una nazione unitaria? O saremmo ancora divisi in minuscoli Paesi?
Oltre a cio', la cultura dei diritti universali, della liberta' di pensiero, della tolleranza alla base del nostro vivere civile non e' figlia del pensiero liberale e dell'Illuminismo, cui la Chiesa Cattolica si e' opposta con forza per secoli?
Ordunque, di cosa cianciano questi baciapile di convenienza?

Nno sarebbe piu' opportuno affiggere l'immagine del Presidente della Repubblica, o il tricolore, o il primo articolo della Costituzuione nelle aule scolastiche? Non sarebbero questi simboli di un'identita'nazionale a prescindere dal credo religioso o politico?

Avrei piacere di lasciare qui un link ai Dialoghi Platonici, quelli della trasmissione Decameron di D. Luttazzi. Non riesco a trovarli, mi riprometto di reperirli. Nel frattempo, chi ha voglia penso li possa reperire su youtube.

Ormai sono due anni abbondanti che vivo in questo Paese e devo dire di essere contento della vita che pian piano sto costruendo qui; temo che in Italia avrei avuto molte più difficoltà.

Lo ammetto, qui non è tutto rosa e fiori, ma a differenza di altri miei connazionali non me la sentirei di sputare sentenze, negative, su questa nazione, intesa come luoghi e persone. Non credo i britannici abbiano buon gusto (nel cibo, nel vestire, nell'arredamento) né che sappiano realmente divertirsi, visto che da venerdì pomeriggio a domenica lo sport più diffuso è bere alcolici. Tuttavia sono persone gentili, disponibili, dedicate al proprio lavoro, con un'etica ed un senso civico molto più sviluppato di quello degli italiani, in media. Il tempo qui è molto variabile, la pioggia è un evento che può sempre capitare, anche in una giornata radiosa; allo stesso tempo su Londra non incombre quella cappa di grigiore e fumo che appesta Torino in inverno o nelle afose giornate di luglio e se piove non è per più di un giorno di seguito, in genere.

Una cosa mi disturba molto, però, e mi ha toccato in particolare quando ho accompagnato Rosita e Marana, due amiche in visita, per Londra. E' il gusto per il posticcio, per i falsi edifici di pregio, per le ricostruzioni "in stile" di rioni o quartieri per fini puramente commerciali, al limite del disneyano, senza alcun reale interesse per la conservazione. Camminando sulla riva meridionale del Tamigi, in Londra, ci si può imbattere, all'interno dell'amalgama di edifici contemporanei senza anima e gusto, nel ricostruito Globe Theatre, il teatro dei tempi di Shakespeare, o nella conversione di un vecchio magazzino in un edificio per il commercio, dove poco si comprende della struttura e delle funzioni originarie. Oppure non è raro incontrare, in zone come Spitalfields o Brick Lane, vetrine di negozi o ristoranti in uno stile pseudo anni 50, tipo alcuni ambienti del film Le Fabuleaux Destin de Amelie Poulin, con le cornici in legno verniciate in tinte pastello, generalmente tendenti al grigio ed un'ambiente povero-chic, dove il povero sta nell'arredamento e lo chic nei prezzi.
Io mi chiedo. A che pro? Dal momento che poco o nulla è rimasto della città antica, sostituita da edifici via via più alti, in una gara fallica tra architetti in ansia da notorietà, a cosa serve ricostruire o alterare l'esistente in questa maniera? Dopo le brutture dei centri commerciali (la maggior parte direi) in cui le palme di plastica si mescolano alle finte pergole mediterranee ed alla rivisitazione di un'officina meccanica in un negozio di abbigliamento alla moda, tocca alle città?
E' questo che spetterà, prima o poi, anche alle nostre città d'arte, in Italia?

Recentemente in uno dei forum cui ogni tanto partecipo, su internet, è stata aperta una discussione sull'Abruzzo e la ricostruzione dopo il terremoto.

La questione della ricostruzione è stato uno strumento cui gli esponenti del Governo, primo tra tutti il Presidente del Consiglio, hanno attinto a piene mani per farsi propaganda. Gli organi di informazione, per parte loro, rilanciano le note e le veline governative senza farsi molto scrupolo di verificare che siano corrispondenti alla realtà. Ecco che, quindi, secondo quanto scrive un "forumista" il 19 luglio erano già pronte delle case di nuova costruzione, inaugurate dal bravo Berlusconi e dal suo servizievole Bertolaso. Il tutto, in base al tizio di cui sopra, filmato da non so quale telegiornale della RAI.

Pur avendo poca esperienza nel settore delle costruzioni edili, gli anni passati a studiare ingegneria ed architettura mi hanno insegnato che un edificio non si erige in quattro/sei settimane, a meno che non si tratti di quei moduli prefabbricati che vengono utilizzati in via temporanea... difatti, leggendo i blog di alcuni abruzzesi ed i siti di alcuni organi di informazione indipendenti apprendo che sinora poco o nulla è stato fatto per consentire agli sfollati di avere presto un tetto sopra la testa, se non l'assegnazione dei lavori per l'edificazione di moduli provvisiori in legno. Peraltro non ancora pronti... Tralascio le polemiche sul mancato confronto di Bertolaso con i cittadini e gli enti locali.

Mi chiedo, dunque, con quale faccia certe persone, se vogliamo chiamarle così, sfruttano le disgrazie altrui per costruirsi un'immagine di politici competenti ed efficienti. Quale sia la dignità di chi disprezza il prossimo suo, offrendo il ridicolo spettacolo di un'informazione "ufficiale" che volutamente altera la realtà dei fatti. Per i cittadini di L'Aquila e dintorni è uno doppio schiaffo, la beffa dopo il danno.

Oggi ho letto un articolo di Ivan Della Mea sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia (1974), mi è piaciuto, ho trovato interessante l'analisi che propone di quell'avvenimento e di tutto il periodo degli Anni di Piombo.
Una chiara e definitiva verità, giuridica e politica, non è mai emersa; questo fa sì che oggi ci siano persone, guarda caso per lo più di Destra, che ci invitano a porre quegli anni alle spalle e gettano dubbi sulla reale matrice di quella stagione, negando addirittura la possibilità di un disegno unico dietro le varie bombe. Proprio per evitare che questo revisionismo, come quello attuato per cercare di dare una facciata rispettabile al Fascismo, prenda il sopravvento e cancelli la memoria, desidero copiare quell'articolo, a futura memoria.

Le bombe che scoppiano ogni giorno
Ventotto maggio 1974. Brescia, Piazza della Loggia. Comizio sindacale, parla, se ricordo bene, Franco Castrezzati sindacalista della Cisl. Ore 10, 12. Scoppia la bomba piazzata in un cestino in fondo alla piazza: 8 morti, un centinaio di feriti. Tutti gli anni i compagni di Brescia mi vogliono nella ricorrenza. Tutti gli anni devo cantare «Ringhera» una ballata che ricorda l'evento. Lo farò anche quest'anno.
Epperò, da tempo, un pensiero m'intriga. Davvero la bomba è scoppiata in quel giorno a quell'ora. Sì e anche no: non è vero. E non è questione che riguardi la miseria mascalzona di una giustizia mai fatta e forse mai voluta fare.
Per me, dentro di me, quella bomba come tutte le bombe da Piazza Fontana in poi, fino all'Italicus, fino alla stazione di Bologna, continuano a scoppiare, scoppiano sempre, ogni giorno: non sono una memoria storica, no, sono una presenza viva.
E mi sta bene che sia così: le memorie ancorché storiche prendono via via la patina del tempo, si smussano, piano piano rientrano nella banda di compatibilità senza più punte verso l'alto e verso il basso: fanno la linea grigia dell'assuefazione che apre la via della rimozione.
No, non rimuovo, non dobbiamo rimuovere; non c'è contabilità a pareggio tra brigatismo rosso e terrorismo nero per la stessa fermissima ragione per la quale non può esserci, signor Presidente, pari e patta, cunetta e dosso, tra i morti partigiani e i morti repubblichini fascisti.
La bomba di Brescia, di quella sto parlando come segno di tutte le bombe stragiste, deve continuare a scoppiare dentro di noi per imporci di ragionare sull'eversione di destra, sulla progressiva vanificazione di tutte le conquiste dei lavoratori, sull'azzeramento dello Statuto stesso dei lavoratori, sull'inizio di quel processo di omologazione che Pier Paolo Pasolini (1974, stesso anno) definì demofascismo e che non si è fermato nonostante le vittorie delle grandi battaglie sociali: divorzio e aborto; è andato avanti fino a esaltarsi e ad avanzare con progressione geometrica dopo il mancato sorpasso del Pci (1976), fino a diventare il democlericofascismo che oggi si vive.
E la bomba infame e tutte le bombe ancora mi scoppiano dentro vedendo la disunità microcosmica dei partiti della sinistra, la loro incapacità di opposizione dura, costante, l'assenza di un progetto politico e culturale capace di promuovere la solidarietà, la fratellanza, l'ascolto, la tolleranza nei confronti di tutte e dico tutte, le diversità.
Davvero non se ne può più e in giro c'è molta sofferenza umana e altrettanta insofferenza politica: perché io so che i precari non ne possono più e che anche i pensionati cominciano a incazzarsi di brutto e sarà anche bellissimo, e lo è, che l'80 per cento di italiani siano proprietari di casa (non so quanti con mutui), ma avere la casa e anche un tavolo con le sedie e anche i piatti e la miseria siccome primo e secondo e frutta non fa bello, proprio no.
Anche per queste ragioni quella bomba continua a scoppiarmi dentro poiché l'unica democrazia per me concepibile è quella che si pone il compito di liberare l'uomo dal bisogno e financo dal bisogno del bisogno e, dunque, il 28 maggio tornerò in Piazza della Loggia per cantare contro quella bomba del 1974 che è gemella della bomba che ho dentro nel 2009, ma concluderò riproponendo la lotta amata con le «scarpe rotte» e con la coscienza che «bisogna andar».

1 maggio

Quest'anno ho festeggiato la Festa dei Lavoratori in Italia, a Torino. Direi, innanzitutto, che quest'anno ho festeggiato il 1 maggio. Perchè nel Regno Unito si lavora come un qualsiasi altro giorno del mese; in Londra si tiene una manifestazione che vede partecipare movimenti e partiti di Sinistra oltre ad alcune organizzazioni sindacali ma, considerate le dimensioni della metropoli, è un evento di scarso rilievo, per lo meno se raffrontate con alcune realtà del Continente.

Paola, Letizia ed altre persone che ho incontrato al corteo mi hanno fatto notare come la partecipazione e la passione fossero minori rispetto ad alcuni anni fa, prima della terza vittoria della Destra. Tuttavia, raffrontando la situazione torinese con quella londinese, direi che una manifestazione popolare di venti o trentamila persone in una città di meno di un milione di abitanti è degna di nota e tutt'altro che piccola. Certamente sono lontani i tempi, mai vissuti da me, delle folle piene di rabbia e speranza degli anni Settanta, molte persone che appartengono alla classe lavoratrice e/o si riconosce nei principi e nei valori socialisti disertano la manifestazione, preferendo sfruttare il fine settimana lungo per una breve vacanza o per trascorrere del tempo con la famiglia. Purtroppo si predilige l'aspetto Privato, il proprio piccolo nucleo, come se il Pubblico, volenti o nolenti, non influenzasse la nostra vita quotidiana... e i partiti di Sinistra non aiutano i cittadini ad assumere questa consapevolezza.
Spero solo che l'Italia non divenga come il Regno Unito: omologata.

Eureka!

Aprendo il blog ho letto l'ultimo messaggio lasciato da me alcune settimane fa e, neanche a dirlo, mi appresto oggi a scrivere il presente messaggio nel primo giorno in cui abbiamo la linea in casa. Dopo oltre sessanta giorni...! Alla faccia della tecnologia avanzata!
Ora finalmente non devo dipendere da altri per l'accesso alla rete. Da quello che Daniel mi racconta, in Brasile se la compagnia telefonica non è in grado di fornire il servizio entro sette giorni dalla richiesta del cliente, l'autorità garante dei consumatori sanziona la compagnia. Sembra fantascienza...

Un paio di giorni fa Daniel è entrato nella sala canticchiando "La locomotiva" di Guccini, cogliendomi di sopresa, perché non pensavo a lui piacesse questo cantautore e di rado ascoltiamo brani di cantautori italiani in casa. Mi ha fatto piacere, mi ha toccato nel mio intimo, soprattutto perché Dan ritiene il testo sia molto bello.
Tutto ciò mi ha portato alla mente il racconto che qualcuno, forse Cecio, mi aveva fatto anni fa, secondo cui era possibile, almeno in passato, incotrare Guccini cantando nelle cantine e nelle osterie bolognesi con altri avventori. Di Bologna ho sempre avuto un'immagine che, nella realtà delle mie visite, è stata contraddetta: una città dove la creatività degli studenti e la passione politica di molti suoi cittadini si univano per dare vita un contesto vivace, ricco culturalmente, ma allo stesso tempo semplice, popolare. Sinceramente all'atto pratico questa immagine è svanita, particolamente durante la mia prima visita, una dozzina di anni fa, con Steve. Ricordo l'aria da città "pulita", borghese, "milanese" come commentammo allora tra noi, mentre passavamo di fronte ad un gruppo di adolescenti ben vestiti fuori da un ristorante fast food. E a quel tempo Guazzaloca non era stato ancora eletto, la Sinistra locale e nazionale non avevano ricevuto quella forte batosta che li colse un giorno di giugno del '99... Mi sono sempre chiesto se avessimo avuto un'impressione errata durante quella nostra gita di un giorno, o se fosse errata la mia fantasia sulla città.
Quel giorno ritornai a Torino con l'idea di vivere in un città speciale, che ancora non aveva subito quella normalizzazione di locali alla moda, tutti uguali tra loro, di false antiche vinerie, di eventi culturali da prima serata su una rete televisiva, con grandi nomi e poca creatività. Per un po' saremmo stati salvi.

L'era della comunicazione

Da almeno una decina di anni siamo bombardati da messaggi su come sia facile comunicare oggi, su come questa sia l'epoca della comunicazione. Non lo metto in dubbio, ma quanti hanno poi veramente accesso a questa comunicazione? Dal momento in cui tutto e' profitto, tolta l'aria che respiriamo (per il momento), l'accesso alla comunicazione e' vincolata alla disponibilita' economica delle persone... quindi, non sono tutte ciance quelle sull'era della comunicazione?

Questa breve ed incazzosa riflessione mi e' sorta dopo un travaso di bile con la compagnia telefonica ex statale del Regno Unito. Come in Italia questa compagnia e' rimasta proprietaria della rete, costruita con denaro pubblico a suo tempo ed ora messa a disposizione di uno solo dei competitori del mercato. Alla faccia della concorrenza.

Nel nuovo appartamento non c'e' la linea, per cui abbiamo richiesto l'allacciamento. ci vogliono almeno due settimane dalla richiesta, piu' 120 sterline per il servizio, nonostante ci siano gia' i cavi. Dopo di che si scopre che il palazzo e' scollegato dalla rete principale... ma non e' interesse loro che il palazzo sia collegato cosi' possono avere piu' clienti? Vai a capire... Oltre a cio' ci e' stato detto hce per un anno dobbiamo tenerci il contratto con la compagnia proprietaria della rete; quindi, che faccia schifo o meno, dobbiamo tenerci il servizio per almeno un anno, foraggiando la compagnia che utilizza una rete presa dallo Stato.
Nno fa girare le palle???!!!

Sta di fatto che utilizzo il tempo dopo il lavoro per scrivere dal pc del mio ufficio... viva l'era della comunicazione!

Saluti a tutti.