Ormai sono due anni abbondanti che vivo in questo Paese e devo dire di essere contento della vita che pian piano sto costruendo qui; temo che in Italia avrei avuto molte più difficoltà.

Lo ammetto, qui non è tutto rosa e fiori, ma a differenza di altri miei connazionali non me la sentirei di sputare sentenze, negative, su questa nazione, intesa come luoghi e persone. Non credo i britannici abbiano buon gusto (nel cibo, nel vestire, nell'arredamento) né che sappiano realmente divertirsi, visto che da venerdì pomeriggio a domenica lo sport più diffuso è bere alcolici. Tuttavia sono persone gentili, disponibili, dedicate al proprio lavoro, con un'etica ed un senso civico molto più sviluppato di quello degli italiani, in media. Il tempo qui è molto variabile, la pioggia è un evento che può sempre capitare, anche in una giornata radiosa; allo stesso tempo su Londra non incombre quella cappa di grigiore e fumo che appesta Torino in inverno o nelle afose giornate di luglio e se piove non è per più di un giorno di seguito, in genere.

Una cosa mi disturba molto, però, e mi ha toccato in particolare quando ho accompagnato Rosita e Marana, due amiche in visita, per Londra. E' il gusto per il posticcio, per i falsi edifici di pregio, per le ricostruzioni "in stile" di rioni o quartieri per fini puramente commerciali, al limite del disneyano, senza alcun reale interesse per la conservazione. Camminando sulla riva meridionale del Tamigi, in Londra, ci si può imbattere, all'interno dell'amalgama di edifici contemporanei senza anima e gusto, nel ricostruito Globe Theatre, il teatro dei tempi di Shakespeare, o nella conversione di un vecchio magazzino in un edificio per il commercio, dove poco si comprende della struttura e delle funzioni originarie. Oppure non è raro incontrare, in zone come Spitalfields o Brick Lane, vetrine di negozi o ristoranti in uno stile pseudo anni 50, tipo alcuni ambienti del film Le Fabuleaux Destin de Amelie Poulin, con le cornici in legno verniciate in tinte pastello, generalmente tendenti al grigio ed un'ambiente povero-chic, dove il povero sta nell'arredamento e lo chic nei prezzi.
Io mi chiedo. A che pro? Dal momento che poco o nulla è rimasto della città antica, sostituita da edifici via via più alti, in una gara fallica tra architetti in ansia da notorietà, a cosa serve ricostruire o alterare l'esistente in questa maniera? Dopo le brutture dei centri commerciali (la maggior parte direi) in cui le palme di plastica si mescolano alle finte pergole mediterranee ed alla rivisitazione di un'officina meccanica in un negozio di abbigliamento alla moda, tocca alle città?
E' questo che spetterà, prima o poi, anche alle nostre città d'arte, in Italia?

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