Oggi ho letto un articolo di Ivan Della Mea sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia (1974), mi è piaciuto, ho trovato interessante l'analisi che propone di quell'avvenimento e di tutto il periodo degli Anni di Piombo.
Una chiara e definitiva verità, giuridica e politica, non è mai emersa; questo fa sì che oggi ci siano persone, guarda caso per lo più di Destra, che ci invitano a porre quegli anni alle spalle e gettano dubbi sulla reale matrice di quella stagione, negando addirittura la possibilità di un disegno unico dietro le varie bombe. Proprio per evitare che questo revisionismo, come quello attuato per cercare di dare una facciata rispettabile al Fascismo, prenda il sopravvento e cancelli la memoria, desidero copiare quell'articolo, a futura memoria.

Le bombe che scoppiano ogni giorno
Ventotto maggio 1974. Brescia, Piazza della Loggia. Comizio sindacale, parla, se ricordo bene, Franco Castrezzati sindacalista della Cisl. Ore 10, 12. Scoppia la bomba piazzata in un cestino in fondo alla piazza: 8 morti, un centinaio di feriti. Tutti gli anni i compagni di Brescia mi vogliono nella ricorrenza. Tutti gli anni devo cantare «Ringhera» una ballata che ricorda l'evento. Lo farò anche quest'anno.
Epperò, da tempo, un pensiero m'intriga. Davvero la bomba è scoppiata in quel giorno a quell'ora. Sì e anche no: non è vero. E non è questione che riguardi la miseria mascalzona di una giustizia mai fatta e forse mai voluta fare.
Per me, dentro di me, quella bomba come tutte le bombe da Piazza Fontana in poi, fino all'Italicus, fino alla stazione di Bologna, continuano a scoppiare, scoppiano sempre, ogni giorno: non sono una memoria storica, no, sono una presenza viva.
E mi sta bene che sia così: le memorie ancorché storiche prendono via via la patina del tempo, si smussano, piano piano rientrano nella banda di compatibilità senza più punte verso l'alto e verso il basso: fanno la linea grigia dell'assuefazione che apre la via della rimozione.
No, non rimuovo, non dobbiamo rimuovere; non c'è contabilità a pareggio tra brigatismo rosso e terrorismo nero per la stessa fermissima ragione per la quale non può esserci, signor Presidente, pari e patta, cunetta e dosso, tra i morti partigiani e i morti repubblichini fascisti.
La bomba di Brescia, di quella sto parlando come segno di tutte le bombe stragiste, deve continuare a scoppiare dentro di noi per imporci di ragionare sull'eversione di destra, sulla progressiva vanificazione di tutte le conquiste dei lavoratori, sull'azzeramento dello Statuto stesso dei lavoratori, sull'inizio di quel processo di omologazione che Pier Paolo Pasolini (1974, stesso anno) definì demofascismo e che non si è fermato nonostante le vittorie delle grandi battaglie sociali: divorzio e aborto; è andato avanti fino a esaltarsi e ad avanzare con progressione geometrica dopo il mancato sorpasso del Pci (1976), fino a diventare il democlericofascismo che oggi si vive.
E la bomba infame e tutte le bombe ancora mi scoppiano dentro vedendo la disunità microcosmica dei partiti della sinistra, la loro incapacità di opposizione dura, costante, l'assenza di un progetto politico e culturale capace di promuovere la solidarietà, la fratellanza, l'ascolto, la tolleranza nei confronti di tutte e dico tutte, le diversità.
Davvero non se ne può più e in giro c'è molta sofferenza umana e altrettanta insofferenza politica: perché io so che i precari non ne possono più e che anche i pensionati cominciano a incazzarsi di brutto e sarà anche bellissimo, e lo è, che l'80 per cento di italiani siano proprietari di casa (non so quanti con mutui), ma avere la casa e anche un tavolo con le sedie e anche i piatti e la miseria siccome primo e secondo e frutta non fa bello, proprio no.
Anche per queste ragioni quella bomba continua a scoppiarmi dentro poiché l'unica democrazia per me concepibile è quella che si pone il compito di liberare l'uomo dal bisogno e financo dal bisogno del bisogno e, dunque, il 28 maggio tornerò in Piazza della Loggia per cantare contro quella bomba del 1974 che è gemella della bomba che ho dentro nel 2009, ma concluderò riproponendo la lotta amata con le «scarpe rotte» e con la coscienza che «bisogna andar».

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